Fragmento del primer capítulo del volumen I de la tercera parte de la edición de 1568 de Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori de Giorgio Vasari, dedicado a Leonardo da Vinci.
Dicesi che ser Piero da Vinci, essendo alla villa, fu ricercato domesticamente da un suo contadino, il quale, d’un fico da lui tagliato in sul podere, aveva di sua mano fatto una rotella, che a Fiorenza gnene facesse dipignere; il che egli contentissimo fece, sendo molto pratico il villano nel pigliare uccelli e ne le pescagioni, e servendosi grandemente di lui ser Piero a questi esercizii. Laonde, fattala condurre a Firenze, senza altrimenti dire a Lionardo di chi ella si fosse, lo ricercò che egli vi dipignesse suso qualche cosa. Lionardo, arrecatosi un giorno tra le mani questa rotella, veggendola torta, mal lavorata e goffa la dirizzò col fuoco, e datala a un torniatore, di roza e goffa che ella era, la fece ridurre delicata e pari. Et appresso ingessatala et acconciatala a modo suo, cominciò a pensare quello che vi si potesse dipignere su, che avesse a spaventare chi le venisse contra, rappresentando lo effetto stesso che la testa già di Medusa. Portò dunque Lionardo per questo effetto ad una sua stanza, dove non entrava se non egli solo, lucertole, ramarri, grilli, serpe, farfalle, locuste, nottole et altre strane spezie di simili animali: da la moltitudine de’ quali, variamente adattata insieme, cavò uno animalaccio molto orribile e spaventoso, il quale avvelenava con l’alito e faceva l’aria di fuoco. E quello fece uscire d’una pietra scura e spezzata, buffando veleno da la gola aperta, fuoco dagl’occhi e fumo dal naso sì stranamente, che pareva monstruosa et orribile cosa affatto. E penò tanto a farla, che in quella stanza era il morbo degli animali morti troppo crudele, ma non sentito da Lionardo, per il grande amore che portava nell’arte. Finita questa opera, che più non era ricerca, né dal villano né dal padre, Lionardo gli disse, che ad ogni sua comodità mandasse per la rotella, che quanto a lui era finita. Andato dunque ser Piero una mattina a la stanza per la rotella e picchiato alla porta, Lionardo gli aperse, dicendo che aspettasse un poco; e ritornatosi nella stanza acconciò la rotella al lume in sul leggio et assettò la finestra, che facesse lume abbacinato, poi lo fece passar dentro a vederla. Ser Piero nel primo aspetto, non pensando alla cosa, subitamente si scosse, non credendo che quella fosse rotella, né manco dipinto quel figurato che e’ vi vedeva. E tornando col passo a dietro, Lionardo lo tenne, dicendo: «Questa opera serve per quel che ella è fatta. Pigliatela, dunque, e portatela, ché questo è il fine, che dell’opere s’aspetta». (…) Fece poi Lionardo una Nostra Donna in un quadro, ch’era appresso papa Clemente VII, molto eccellente. E fra l’altre cose che v’erano fatte, contrafece una caraffa piena d’acqua con alcuni fiori dentro, dove oltra la maraviglia della vivezza, aveva imitato la rugiada dell’acqua sopra, sì che ella pareva più viva che la vivezza. Ad Antonio Segni, suo amicissimo, fece in su un foglio un Nettuno condotto così di disegno con tanta diligenzia, che e’ pareva del tutto vivo. Vedevasi il mare turbato et il carro suo tirato da’ cavalli marini con le fantasime, l’orche, et i noti et alcune teste di dèi marini, bellissime. Il quale disegno fu donato da Fabio suo figliuolo a Messer Giovanni Gaddi, con questo epigramma: Pinxit Virgilius Neptunum, pinxit Homerus dum maris undisoni per vada flectit equos. Mente quidem vates illum conspexit uterque Vincius ast oculis, iureque vincit eos. Vennegli fantasia di dipignere in un quadro a olio una testa d’una Medusa con una acconciatura in capo con uno agrupamento di serpe la più strana e stravagante invenzione che si possa immaginare mai; ma come opera, che portava tempo, e come quasi interviene in tutte le cose sue, rimase imperfetta. Questa è fra le cose eccellenti nel palazzo del duca Cosimo insieme con una testa d’uno Angelo che alza un braccio in aria, che scorta dalla spalla al gomito venendo inanzi, e l’altro ne va al petto con una mano. È cosa mirabile, che quello ingegno, che avendo desiderio di dare sommo rilievo alle cose che egli faceva, andava tanto con l’ombre scure a trovare i fondi de’ più scuri, che cercava neri che ombrassino e fussino più scuri degl’altri neri per fare del chiaro, mediante quegli, fussi più lucido; et infine riusciva questo modo tanto tinto, che non vi rimanendo chiaro avevon più forma di cose fatte per contrafare una notte, che una finezza del lume del dì: ma tutto era per cercare di dare maggiore rilievo, di trovar il fine e la perfezzione dell’arte. Piacevagli tanto quando egli vedeva certe teste bizzarre, o con barbe o con capegli degli uomini naturali, che arebbe seguitato uno, che gli fussi piaciuto, un giorno intero e se lo metteva talmente nella idea, che poi arrivato a casa lo disegnava come se l’avesse avuto presente. Di questa sorte se ne vede molte teste e di femine e di maschi, e n’ho io disegnato parechie di sua mano con la penna, nel nostro libro de’ disegni tante volte citato, come fu quella di Amerigo Vespucci, ch’è una testa di vecchio bellissima disegnata di carbone e parimenti quella di Scaramuccia, capitano de’ Zingani, che poi ebbe Messer Donato Valdanbrini d’Arezzo canonico di S. Lorenzo lassatagli dal Giambullari. Cominciò una tavola della adorazione da Magi, che v’è su molte cose belle massime di teste. La quale era in casa d’Amerigo Benci dirimpetto alla loggia dei Peruzzi, la quale anche ella rimase imperfetta come l’altre cose sua. Avvenne che morto Giovan Galeazzo duca di Milano e creato Lodovico Sforza nel grado medesimo l’anno 1494, fu condotto a Milano con gran riputazione Lionardo al Duca, il quale molto si dilettava del suono de la lira, perché sonasse: e Lionardo portò quello strumento, ch’egli aveva di sua mano fabricato d’argento gran parte in forma d’un teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuova, acciò ché l’armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce, laonde superò tutti i musici, che quivi erano concorsi a sonare. Oltra ciò fu il migliore dicitore di rime a l’improviso del tempo suo. Sentendo il Duca i ragionamenti tanto mirabili di Lionardo, talmente s’innamorò de le sue virtù, che era cosa incredibile. E pregatolo, gli fece fare in pittura una tavola d’altare, dentrovi una Natività che fu mandata dal Duca a l’imperatore. Fece ancora in Milano ne’ frati di S. Domenico a S. Maria de le Grazie un Cenacolo, cosa bellissima e maravigliosa, et alle teste degli Apostoli diede tanta maestà e bellezza, che quella del Cristo lasciò imperfetta, non pensando poterle dare quella divinità celeste, che a l’imagine di Cristo si richiede. La quale opera, rimanendo così per finita, è stata dai milanesi tenuta del continuo in grandissima venerazione, e dagli altri forestieri ancora, atteso che Lionardo si imaginò e riuscigli di esprimere quel sospetto che era entrato negl’Apostoli, di voler sapere chi tradiva il loro maestro. Per il che si vede nel viso di tutti loro l’amore, la paura e lo sdegno, o vero il dolore, di non potere intendere lo animo di Cristo. La qual cosa non arreca minor maraviglia, che il conoscersi allo incontro l’ostinazione, l’odio e ’l tradimento in Giuda, senza che ogni minima parte dell’opera mostra una incredibile diligenzia. Avvenga che insino nella tovaglia è contraffatto l’opera del tessuto, d’una maniera che la rensa stessa non mostra il vero meglio. Dicesi che il priore di quel luogo sollecitava molto importunamente Lionardo che finissi l’opera, parendogli strano veder talora Lionardo starsi un mezzo giorno per volta astratto in considerazione, et arebbe voluto, come faceva dell’opere che zappavano ne l’orto, che egli non avesse mai fermo il pennello. E non gli bastando questo, se ne dolse col Duca e tanto lo rinfocolò, che fu costretto a mandar per Lionardo e destramente sollecitarli l’opera, mostrando con buon modo, che tutto faceva per l’importunità del priore. Lionardo, conoscendo l’ingegno di quel principe esser acuto e discreto, volse (quel che non avea mai fatto con quel priore) discorrere col Duca largamente sopra di questo; gli ragionò assai de l’arte, e lo fece capace che gl’ingegni elevati, talor che manco lavorano, più adoperano, cercando con la mente l’invenzioni, e formandosi quelle perfette idee, che poi esprimono e ritraggono le mani da quelle già concepute ne l’intelletto. E gli soggiunse che ancor gli mancava due teste da fare, quella di Cristo, della quale non voleva cercare in terra e non poteva tanto pensare, che nella imaginazione gli paresse poter concipere quella bellezza e celeste grazia, che dovette essere quella de la divinità incarnata. Gli mancava poi quella di Giuda, che anco gli metteva pensiero, non credendo potersi imaginare una forma, da esprimere il volto di colui, che dopo tanti benefizii ricevuti, avessi avuto l’animo sì fiero, che si fussi risoluto di tradir il suo Signore e creator del mondo, purché di questa seconda ne cercherebbe, ma che alla fine non trovando meglio, non gli mancherebbe quella di quel priore, tanto importuno et indiscreto. La qual cosa mosse il Duca maravigliosamente a riso e disse che egli avea mille ragioni. E così il povero priore confuso attese a sollecitar l’opera de l’orto e lasciò star Lionardo. Il quale finì bene la testa del Giuda, che pare il vero ritratto del tradimento et inumanità. Quella di Cristo rimase, come si è detto, imperfetta.
[Traducción de Julio Payró: Cuentan que estando Ser Piero en su casa de campo, un campesino de su heredad le pidió que hiciera pintar en Florencia una rodela de madera que había cortado de una higuera de su hacienda. Ser Piero consintió con agrado, pues el hombre era muy hábil en la caza de pájaros y en la pesca, y le resultaba muy útil en tales menesteres. En consecuencia, Ser Piero envió el pedazo de madera a Florencia y le pidió a Lionardo que pintara algo en ella, sin decirle a quién pertenecía. Lionardo, al examinar un día la rodela, vio que era torcida, mal trabajada y tosca, pero con la ayuda del fuego la enderezó y luego la entregó a un tornero que, de áspera y grosera que era la volvió lisa y delicada. Luego de enyesarla y prepararla a su manera, Lionardo comenzó a pensar lo que pintaría en ella y resolvió hacer alguna cosa que aterrorizara a todos los que la contemplaran, produciendo un efecto similar al de la cabeza de la Medusa. A una habitación donde sólo él tenía acceso, Lionardo llevó lagartos, lagartijas, gusanos, serpientes, mariposas, langostas, murciélagos y otros animales extraños, con los cuales compuso un horrible y espantoso monstruo, cuyo ponzoñoso aliento parecía envenenar el aire. Lo representó saliendo de una roca obscura y hendida, vomitando veneno por sus fauces abiertas, fuego por sus ojos y humo por su nariz, de un aspecto realmente terrible y espantoso. Estaba tan absorto en su trabajo, que no advertía el terrible hedor de los animales muertos, pues se abstraía en su amor al arte. Su padre y el campesino ya no preguntaban por el trabajo y, cuando lo hubo acabado, Lionardo hizo saber a Ser Piero que podía mandar a buscar la rodela cuando le pluguiese, pues ya estaba terminada. En consecuencia, una mañana fue Ser Piero a sus habitaciones a buscarla. Cuando llamó a la puerta, le abrió Lionardo y le pidió que esperara un instante; volvió a su pieza, colocó en su caballete la rodela de modo que le diera la luz deslumbrante de la ventana y luego pidió a su padre que entrara. Éste, tomado desprevenido, se estremeció, pues no pensó que fuese la rodela de madera, ni menos que lo que veía estuviese pintado. Y retrocedía asustado, cuando Lionardo lo contuvo, diciéndole: «Esta obra ha servido a su propósito; llévala, pues, ya que ha producido el efecto deseado». (…) // Luego pintó Lionardo una Virgen muy excelente, que más adelante estuvo en poder del Papa Clemente VII. Entre otras cosas, en este cuadro representó una jarra llena de agua y con unas flores maravillosas, sobre las cuales las gotas de rocío se veían más reales que la realidad misma. Para su gran amigo Antonio Segni dibujó un Neptuno sobre papel, con tanto cuidado que parecía vivo. El mar está agitado y su carro es arrastrado por caballos marinos, con sirenas y otros monstruos, los vientos del Sur y hermosas cabezas de divinidades. El dibujo fue regalado por Fabio, hijo de Antonio, a Messer Giovanni Gaddi, con el siguiente epigrama: Pinxit Virgilius Neptunum, pinxit Homerus; / Dum maris undisoni per vada flectit equos. / Mente quidem vates illum conspexit uterque / Vincius ast oculis; jureque vincit eos.* // Después se le ocurrió a Lionardo hacer una cabeza de la Medusa al óleo, con una guirnalda de serpientes; era una idea extraordinaria y fantástica, pero como el trabajo requería tiempo, quedó sin terminar, que era el destino de casi todos sus proyectos. Se encuentra entre los tesoros del palacio del duque Cosme, junto con la cabeza de un ángel que levanta un brazo, en escorzo desde el hombro hasta el codo, mientras el otro brazo descansa en su pecho. Tan maravillosa era la mente de Lionardo, que, deseando que sus pinturas obtuvieran más relieve, se dedicó a lograr sombras más profundas, y buscó los negros más intensos con el fin de volver más claras las luces por contraste. Finalmente hizo tan sombrías sus pinturas, que parecen más bien representaciones de la noche, pues no hay ninguna luz intensa que dé la luminosidad del día. Pero lo hizo con la idea de dar mayor relieve a los objetos y hallar el fin y la perfección del arte. // Lionardo se complacía tanto cuando veía cabezas humanas curiosas, sea por sus barbas o su cabellera, que era capaz de seguir durante un día entero a quienquiera le hubiese llamado la atención por este motivo; y adquiría tan clara idea del personaje, que cuando regresaba a su casa podía dibujar la cabeza tan bien como si el hombre hubiera estado presente. De esta manera llegó a dibujar muchas cabezas de hombres y mujeres y yo poseo varios de estos dibujos a pluma en mi Libro tantas veces citado. Entre ellas está la cabeza de Amerigo Vespucci, hermoso anciano, dibujada con carbón, y la de Scaramuccia, capitán de los gitanos, que luego pasó a poder de Messer Donato Valdambrini de Arezzo, canónigo de San Lorenzo, a quien se la había regalado Giambullari. Comenzó un cuadro de la Adoración de los Magos, donde se ven cosas muy hermosas, especialmente las cabezas; esa obra se encontraba en la casa de Amerigo Benci, situada frente a la galería de los Peruzzi, pero quedó sin terminar, como sus otras obras. // Con motivo de la muerte de Giovanni Galeazzo, duque de Milán, y de la ascensión de Ludovico Sforza en el mismo año 1493, Lionardo fue invitado por el duque, con gran ceremonia, a trasladarse a Milán para tocar la lira, cuyo sonido deleitaba particularmente al príncipe. Lionardo llevó su propio instrumento, que él mismo hizo de plata y al que dio la forma de una cabeza de caballo, rara y original idea para que las voces tuvieran mayor sonoridad y resonancia, de modo que superó a todos los músicos reunidos en dicho lugar. Además, fue en su tiempo el mejor improvisador de versos. El duque, cautivado por la conversación y el genio de Lionardo, concibió un extraordinario afecto por él. Le rogó que pintara la Natividad para una tabla de altar, la cual fue enviada por el duque al emperador. Lionardo pintó luego una Última Cena bellísima y milagrosa, para los dominicos de Santa Maria delle Grazie, en Milán, infundiendo a la cabeza de los apóstoles tal majestad y belleza, que dejó la de Cristo sin terminar, pues sintió que no podía darle la celestial divinidad que ésta requería. La obra, dejada en esas condiciones, fue siempre tenida en gran veneración por los milaneses y también por los extranjeros, pues Lionardo representó el momento en que los Apóstoles están ansiosos por descubrir quién de ellos traicionará al Maestro. Todos los rostros expresan el amor, el temor, la ira o el pesar por no poderse interpretar la intención de Cristo, en contraste con la obstinación, el odio y la traición de Judas, al par que toda la pintura, hasta los más pequeños detalles, muestra increíble diligencia: hasta la trama del mantel es tan claramente visible, que la tela misma no parecería más real. Se cuenta que el prior importunaba constantemente a Lionardo para que terminara la obra, juzgando extraño que un artista tuviera que pasarse la mitad del día perdido en sus pensamientos. Hubiera deseado que jamás abandonara el pincel, tal como no descansaban los que cavaban la tierra de la huerta. Al ver que su importunidad no producía efecto, recurrió al duque, quien se vio obligado a llamar a Lionardo para preguntarle acerca de su trabajo, mostrando con mucho tacto que se veía obligado a intervenir a instancias del prior. Lionardo, conociendo la agudeza y discreción del duque, le habló largamente de su pintura, cosa que jamás había hecho con el prior. Discurrió libremente de su arte, y le explicó cómo los hombres de genio están en realidad haciendo lo más importante cuando menos trabajan, puesto que están meditando y perfeccionando las concepciones que luego realizan con sus manos. Agregó que aún faltaba hacer dos cabezas. Una era la de Cristo, para la cual no podía buscar modelo en la tierra, y él se sentía incapaz de concebir la belleza y la gracia celestial de esa divinidad encarnada. La otra cabeza era la de Judas, que también le daba qué pensar, pues no creía poder representar el rostro de un hombre capaz de traicionar a su Maestro, Creador del mundo, después de haber recibido tantos beneficios de él. Pero agregó que en este caso estaba dispuesto a no seguir buscando y que, a falta de algo mejor, haría la cabeza de ese importuno e indiscreto prior. El duque se divirtió enormemente y declaró, riendo, que tenía mucha razón. Entonces el pobre prior, lleno de vergüenza, se dedicó a apremiar a los jardineros y dejó en paz a Lionardo. El artista terminó su Judas, haciéndolo la verdadera imagen de la traición y la crueldad. La cabeza de Cristo quedó inconclusa, como he dicho. * Virgilio pintó a Neptuno, también lo pintó Homero, mientras conduce a los caballos por entre las olas agitadas. En verdad los dos poetas en su mente lo comprendieron; pero con la mirada da Vinci los aprisionó y en justicia venció a aquéllos.]